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[on the road to Kabul_#3] ovvero come una mano invisibile mi abbia afferrato…

Posted by admin on 27 Gen 2012 / 0 Comment

15 gennaio 2012

(in aereo, sulla via del rientro)

E’ stata una settimana entusiasmante a New York. Una di quelle che ti ricaricano le batterie per un anno intero. E in più questa storia dell’Afghanistan, delle mutande di lana,  dell’essere “embedded”. Già, embedded. In italiano si tradurrebbe integrato, incorporato, insieme a.

Insieme a. Quindi non e’ un “libero di”. Ok, mi hanno detto che non ci saranno controlli preventivi o successivi sulle fotografie scattate ma, insomma, “insieme a loro” vol dire che vedrò quello che mi faranno vedere loro.  La loro guerra, le loro operazioni, la loro vita in trincea. Benissimo, per carità. Ma adesso capisco il dibattito acceso dopo la guerra del golfo e l’inizio di quella in Afghanistan a proposito dei giornalisti integrati.

E capisco il gioco di parole. Non me ne vogliano i lettori non pratici dell’inglese. “Embedded” si presta all’assonanza “in bedded”, a letto con.

Insieme a, a letto con.
Et voila’.
—————
Mercoledì 18 gennaio 2012
Telefonata da un numero dell’Ambasciata usa. Riconosco il numero. E’ A., dell’Ufficio Stampa

“Antonio, hai ricevuto la mia email ieri? E’ urgente. Devi rispondere formalmente per accettare il viaggio”
“non ho ricevuto nulla” (tipico) “sarà finita nello spam. Ora controllo. Toh, eccola.”
“allora, accetti? Parti?”
“Si”

———-

Venerdì 20 gennaio 2012

E’ fatta. Ormai ci sono dentro. Sono in ballo e ballerò. L’adrenalina sale ma con lei, e riconosco la progressione emotiva, anche la lucidità necessaria per programmare al meglio l’esperienza.

Ho visitato il sito dell’ISAF dove ho letto la miriade di informazioni per i media embedded sul campo. Cosa si può fotografare, cosa no. Dimostrare sistema sanitaria. Accettare la situazione di guerra e prendere atto della sua pericolosita’ intrinseca, Dimostrare di avere propria attrezzatura protettiva (giubbotto antiproiettile ed elmetto), etc. Un attimo, i NON ho un giubbotto anti proiettile…

Ok, probabilmente tutta questa roba non mi riguarda. Non me la chiederanno. Io faro’ un tour….

Non ho ancora aperto la mail e non ho ancora scaricato i moduli.
Procrastino
—–

Sabato 21

L’altro ieri ho visitato il sito dell’ISAF, la forza NATO che dirige le operazioni in Afghanistan. Andrò lì con loro.
Ho trovato tutte le informazioni sul comportamento dei giornalisti sul campo durante le operazioni militari. Pagine e pagine su cosa si può fotografare e su cosa no. In pratica posso fotografare tutto ma usare poco. Comprensibile.
Le informazioni sono così dettagliate che sembra di leggere un romanzo di guerra o vedere un film.
Poi ci sono i moduli sulle informazioni sanitarie del giornalista, le assunzioni di responsabilità e di consapevolezza che si tratta di un teatro di guerra e di quotidiani attacchi terroristici e che bisogna procurarsi il proprio giubbotto antiproiettile, elmetto, etc.
E poi i moduli per lasciare i contatti dei famigliari e disposizioni varie…
e poi tante cose.
E pensavo che questo non si applicasse a me. Buffo, no?

ieri mi chiamano dall’Ambasciata preannunciandomi l’invio di “un po’ di moduli da riempire”. Erano tutti quelli.
Non ho aperto la mail come per procrastinare l’inizio di tutto.
L’ho aperta cinque minuti fa e una specie di mano invisibile mi ha afferrato e trascinato in questo film.
Adesso l’ipocrita negazione che stavo riservando a tutto questo sta lasciando il posto alla necessaria lucidità che mi servirà per organizzare la missione.

Ci sono tante cose che devo fare, soprattutto relative all’attrezzatura da portarmi e quello che mi servirà per proteggermi. Dove diavolo lo trovo un giubbotto antiproiettile non lo so. O meglio, lo so ma – come dire – per scaramanzia non sono cose che amici si scambiano tra di loro…

non so neanche perché scrivo queste cose. Ero qui davanti al computer mentre leggevo quei moduli e ho pensato di farlo

Adesso SO che non vedo l’ora di partire. E’ come se sentissi in bocca il sapore dell’adrenalina. Ho voglia di vedere coi miei occhi e capire. Ecco, è questo. Voglio capire cosa significa essere lontani da casa e avere paura. Voglio vedere le facce dei ragazzi che rischiano la vita per una guerra non loro (come quasi tutte le guerre), magari denigrati in Patria per essere dei guerrafondai. E voglio farlo io, uomo di sinistra. O comunque cresciuto in un ambiente culturale che ripudia la guerra.
E voglio vedere le facce degli afghani. Di chi è stato salvato, di chi è stato aiutato. E di chi è stato invaso e stava meglio prima.
Voglio vedere da una parte e dall’altra. E sono già frustrato, perché so che forse non ci riuscirò.

Perché è sempre vero che ci sono tre versioni di una stessa storia: la mia, la tua e la verità. Ma che la verità è difficile da collocare in mezzo.

Bene, come al solito, comincio col voler scrivere solo una riga e mi ritrovo ad aver scritto mezzo libro. E’ sempre come al solito, non rileggerò quello che ho scritto altrimenti cancellerei tutto.

 

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